1. San Valentino
    La storia di Graziosa e Persinetto

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    Magia
    Perrault
    By SeleneEris il 14 Feb. 2018
     
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    Oggi post speciale per le coppie.

    Vi porto una storia che da bambina mi faceva sognare, anche se non ne capivo il motivo; a distanza di anni mi rendo conto del perché (e, credetemi, mi faccio paura da sola): rinnegare un amore per poi scoprire che comunque ci si è destinati...

    GRAZIOSA E PERSINETTO

    C'erano una volta un re e una regina i quali avevano un'unica figliola. Ella era buona, dolce e straordinariamente intelligente e perciò la chiamarono Graziosa. Sua madre stravedeva per lei; non passava giorno senza che le facessero indossare un bel vestito nuovo, di broccato d'oro, di velluto o anche di raso. Ella era dunque agghindata a meraviglia, ma non per questo si dava arie. Passava le sue mattinate con persone molto sagge che le insegnavano ogni sorta di scienze; nel pomeriggio, lavorava accanto alla Regina. All'ora di pranzo, le portavano ciotole colme di dolci e più di venti vasetti di marmellate di vario gusto, perciò come immaginerete ella era la più fortunata principessa del mondo!
    Alla corte di suo padre c'era una zitellona molto ricca, chiamata la duchessa Brontolona, e che era brutta e ripugnante: i suoi capelli erano rossi come la brace; aveva un viso gonfio come un pallone e pieno di foruncoli; dei due occhi che aveva in passato gliene rimaneva uno solo, e per giunta cisposo; la sua bocca era così grande che si sarebbe detto volesse sbranare tutti, ma per fortuna nessuno la temeva perché era sdentata; era gobba davanti e di dietro, e zoppicava da ambo i piedi.
    I brutti come lei sono invidiosi di tutte le persone belle, perciò ella odiava a morte Graziosa e e se n'era andata via dalla corte per non continuare a sentirla lodare. Abitava in un castello di sua proprietà, non molto lontano da lì, ma quando qualcuno andava a farle visita e le diceva meraviglie della Principessa, lei esclamava, tutta arrabbiata: -Ma che storie! Che storie! Non è assolutamente tanto bella: ho più fascino io in un mio dito che lei in tutto il suo corpo.
    Intanto la Regina si ammalò e morì. La principessa Graziosa credette di morire anche lei per il dolore d'aver perduto una mamma tanto buona; il Re rimpianse assai una sposa così virtuosa e rimase per più d'un anno senza uscire dal suo palazzo. Alla fine i dottori temendo che egli si ammalasse, gli ordinarono di andare a passeggio e di distrarsi un po'; così lui si decise ad andare a caccia, ma poiché faceva molto caldo, passando davanti a un castello, che si trovava sulla sua strada, egli vi entrò per ristorarsi.
    La duchessa Brontolona, avvertita dell'arrivo del Re (siccome quel castello era proprio il suo), scese subito a riceverlo e gli disse che il luogo più fresco del palazzo era una grande cantina a volta, molto pulita, e lo convinse a scendervi con lei. Il Re acconsentì e, vedendo duecento botti ben ordinate le une sulle altre, le chiese se accumulasse per sé sola tutto quel vino.
    -Sì, Maestà- disse lei -è per me sola, ma sarò ben contenta di farvene assaggiare: qui c'è vino delle Canarie, lì di San Lorenzo, più in giù quello di Sciampagna, poi dell'Eremitaggio, di Finocchietto e molti altri: quale desiderate?
    -Veramente, rispose il Re -per me, lo Sciampagna è senza dubbio il più buono.
    Allora Brontolona prese un martellino e si mise a picchiare: toc! toc! toc! ed ecco uscire da quella botte più di mille scudi: -Come mai?- disse lei sorridendo, e allora picchia su un'altra botte: toc! toc! toc! e ne vengono fuori tante monete d'oro da colmare uno scrigno. -Non ci capisco nulla!- dice lei continuando a sorridere. Passa a una terza botte, picchia ancora: toc! toc! toc! e ne esce un tale getto di pietre preziose che il pavimento ne è tutto ricoperto. -Ah!- esclama lei -proprio non capisco, Maestà, si vede che m'hanno rubato il mio buon vino e lo hanno sostituito con queste inezie...
    -Inezie?- fece il Re che era rimasto a bocca aperta. -Per Giove, cara la mia duchessa, le chiamate inezie? Ma se ce n'è abbastanza per comprare dieci città come Parigi!
    -Ebbene- rispose lei -sappiate che tutte queste botti sono piene d'oro e di diamanti: saranno vostre, a patto che vogliate sposarmi.
    -Ah!- rispose il Re che era molto avaro -non chiedo di più: anche domani se lo desiderate.
    -Ma- fece lei -c'è ancora un'altra condizione: voglio essere padrona di vostra figlia come lo era la Regina; lei dovrà ubbidire solo a me e io potrò disporne a modo mio.
    -Ne farete quel che vorrete- disse il Re -e adesso datemi la mano.
    Brontolano strinse la mano del Re, e tutti e due uscirono insieme dalla ricca cantina, di cui lei gli consegnò la chiave.
    Il Re tornò subito alla reggia. Graziosa, sentendo arrivare suo padre, gli andò incontro, lo abbracciò e gli domandò se avesse fatto buona caccia.
    -Altroché!- fece lui -ho preso una colomba viva.
    -Ah, padre mio- chiese la Principessa -datela a me, le darò da mangiare!
    -E' impossibile- egli riprese -poiché, per spiegarmi meglio, devo dirvi che ho incontrato la duchessa Brontolona e l'ho sposata!
    -Oh cielo!- esclamò Graziosa senza troppo pensare -come si fa a chiamarla una colomba? Direi che piuttosto è un civetta!
    -Zitta!- disse il Re che cominciava ad infuriarsi -voglio che l'amiate e la rispettiate come se fosse vostra madre. Andate subito ad agghindarvi, perché oggi stesso voglio andarle incontro.
    La Principessa era molto ubbidiente e si ritirò in camera a vestirsi. Ma la sua nutrice capì subito, dai suoi occhi, che qualcosa non andava: -Che c'è, bambina mia?- le domandò -Perché piangete?
    -Ahimè, cara nutrice!- rispose Graziosa -E chi non si dispererebbe? Il Re sta per darmi una matrigna, e per colmo di sfortuna è la mia più crudele nemica, ossia l'orribile duchessa Brontolona. Come farò ad immaginarla tra quelle belle lenzuola che la mia cara mamma aveva così finemente ricamate con le sue mani? Come farò ad amare quella brutta scimmia che in cuor suo vorrebbe vedermi morta?
    -Mia cara piccina- l'ammonì la nutrice -bisogna che l'animo vostro sia altrettanto nobile che la vostra nascita; le principesse come voi devono essere d'esempio agli altri. E quale esempio è migliore che ubbidire al proprio padre e di dominare se stessi per compiacerlo? Giuratemi che non mostrerete alla Duchessa la vostra pena.
    La Principessa non aveva cuore di giurarlo, ma la buona nutrice le espose tante di quelle ragioni, che alla fine, lei promise di far buon viso e di trattar bene la matrigna.
    Allora indossò un vestito verde su fondo oro; sciolse sulle spalle i bei capelli biondi, come si usava a quei tempi; si cinse il capo con una coroncina di rose e gelsomini, le cui foglie erano tutte di smeraldi. Così agghindata, pareva più bella di Venere, la madre di Amore; ma dal suo volto traspariva una tristezza che non le era possibile nascondere.
    Ma per tornare a Brontolona, anch'essa era tutta indaffarata ad agghindarsi: si era fatta fare una scarpa di parecchi centimetri più alta dell'altra, per sembrare meno zoppa, e un busto imbottito sulla spalle per camuffare la gobba; si era messa un occhi di smalto, il più perfetto che le fosse riuscito di trovare; si era incipriata per schiarire il colorito; si era tinta di nero i capelli rossi; e, per finire, aveva indossato un abito di raso rosso foderato di turchino, con una sottogonna gialla guarnita di nastri viola. Volle fare il suo ingresso a cavallo perché aveva sentito dire che in Spagna di usava così.
    Mentre il Re dava i suoi ordini, Graziosa attendendo il momento di muoversi per andare incontro a Brontolona, scese da sola in giardino, ed entrata in un boschetto molto ombroso, si sedette sull'erba. «Finalmente- si disse -eccomi libera di piangere quanto vorrò senza che alcuno vi trovi a ridire!». Qui cominciò a disperarsi, a piangere così dirottamente che i suoi occhi sembravano due fontane d'acqua zampillante. In questo stato, non pensava più neppure a ritornare alla reggia, quando vide venire un paggio di seta verde, col cappello adornato di piume bianche e il più bel viso del mondo; questi si inginocchiò e le disse: -Principessa, il Re vi attende.
    Ella fu colpita dalla grazia di quel giovane paggio, e poiché non lo conosceva, pensò che fosse al seguito della duchessa Brontolona.
    -Da quando in qua- gli chiese -il Re vi ha assunto nel numero dei suoi paggi?
    -Non appartengo al Re, Altezza- rispose lui -io sono vostro e non voglio appartenere ad altri che a voi!
    -Appartenete a me?- disse lei tutta stupita -ma se non so neppure chi siete?
    -Ah! Principessa!- egli esclamò -ancora non ho osato farmi conoscere; ma le disgrazie dalle quali siete minacciata per il matrimonio del Re, mi convincono a parlarvi prima di quel che avessi voluto: avevo deciso di lasciare al tempo e alla mia fedeltà la cura di dichiararvi il mio amore...
    -Come? Un paggio!- esclamò la Principessa -Un paggio ha il coraggio di dirmi che m'ama! Ci mancava anche questa sciagura!
    -Non temete, nella Graziosa- le disse il paggio con tono dolce e rispettoso -io sono Persinetto, un principe abbastanza noto per le sue ricchezze e la sua sapienza perché vi sembri degno di voi; soltanto la vostra bellezza e la vostra onestà possono rendervi superiore a me. Vi amo da molto tempo, e spesso vi seguo, senza essere visto. Il dono della magia, che ho ricevuto alla nascita, mi è stato spesso di grande aiuto, per procurarmi la gioia di vedervi: mi sono travestito da paggio per potervi oggi seguire dovunque andrete, e spero che la mia presenza non vi sarà del tutto inutile.
    Mentre egli parlava, la Principessa lo guardava con grande stupire: -Siete voi, bel Persinetto- gli disse -siete proprio voi colui che ambivo da tempo di conoscere e del quale si raccontano meraviglie? Quanto mi fa piacere che vogliate aiutarmi! Non ho più ragione di temere la perfida Brontolona, adesso che mi amate!
    I due giovani si scambiarono ancora qualche parola, poi Graziosa se ne tornò alla reggia, dove trovò un cavallo splendidamente bardato, che Persinetto aveva fatto entrare di nascosto nella scuderia, e che tutti pensarono fosse destinato alla Principessa. Lei montò in sella, e poiché quel cavallo era un po' ombroso, il paggio lo prese per la briglia e lo conduceva, volgendosi spesso verso la Principessa, per avere la gioia di guardarla.
    Quando il cavallo della duchessa Brontolona apparve vicino a quello di Graziosa, esso sembrò un ronzino qualunque, e la gualdrappa dell'altro era così ricca di pietre preziose che la sua faceva ben poca figura. Il Re che aveva da pensare a mille cose, non se ne accorse, ma tutti i nobili della corte non avevano occhi che per la Principessa, della quale ammiravano la bellezza, e per il suo paggio verde che da solo, aveva più grazia di tutti gli altri paggi di palazzo messi insieme.
    Per la strada, incontrarono Brontolona, in una carrozza, più brutta e volgare di una contadina. Il Re e la Principessa l'abbracciarono, indi le fu portato il cavallo affinché lei montasse in sella; ma vedendo quello di Graziosa: -Come!- ella disse -quella ragazzina deve avere un cavallo più bello del mio? Preferisco restare duchessa e ritornarmene al mio ricco castello piuttosto che essere trattata così!- Il Re subito comandò alla Principessa di scendere dal suo cavallo e pregò Brontolona di fargli l'onore di montarvi.
    La Principessa ubbidì zitta, zitta e Brontolona non le parlò né la ringraziò; salì sul bel cavallo e, quando fu lassù, sembrava un fagotto di panni sporchi. Ben otto gentiluomini la reggevano, per paura che cadesse, ma lei non sembrava ancora soddisfatta, e borbottava fra i denti sorde minacce. Le chiesero cosa avesse:
    -Ho- disse lei -che essendo la regina, voglio che il paggio verde regga lui la briglia del mio cavallo, come faceva quando Graziosa lo montava.
    Il Re ordinò al paggio verde di condurre il cavallo della Regina. Persinetto gettò un'occhiata alla Principessa e lei gliela restituì, senza dire una parola; poi ubbidì, e tutta la Corte si incamminò: i tamburi e le trombe facevano un rumore assordante; Brontolona era felicissima: col suo naso storto e la bocca sdentata, non avrebbe voluto essere Graziosa!
    Ma, quando meno ci si aspetta, il bel cavallo si mette a fare le bizze, a scalciare e a prendere una tale corsa che nessuno può più fermarlo. La Duchessa si aggrappava alla sella, alla criniera e strillava a perdifiato; alla fine fu disarcionata, con un piede impigliato in una staffa, e fu trascinata per un bel pezzetto su pietre, spine e fango, dove rimase mezza morta. Siccome tutti la seguivano, fu ben presto raggiunta: ella era tutta sbucciata, con la testa sanguinante in quattro o cinque punti e un braccio rotto. Non si era mai vista una sposa in uno stato così pietoso.
    Il Re sembrava dispiaciuto. La raccolsero come un bicchiere in mille pezzi. Il suo cappello era finito da una parte, le scarpe dall'altra; la condussero in città, la misero a letto e mandarono a chiamare i migliori medici. Malridotta com'era, continuava a urlare: -Questo è un tranello tesomi da Graziosa! Sono certa che ha scelto quel cavallo così bello e ombroso unicamente perché io lo desiderassi e poi mi ci rompessi l'osso del collo; se il Re non mi vendica, ritornerò nel mio ricco castello e non lo vedrò più finché vivo!
    Si andò subito a raccontare al Re tutta la rabbia di Brontolona. Siccome amava la ricchezza sopra ogni cosa, la sola idea di perdere le mille botti piene d'oro e di pietre preziose gli fece venire la pelle d'oca e gli avrebbe fatto fare qualsiasi cosa. Così egli si affrettò al capezzale di quella bruttona, si prostrò ai suoi piedi e le promise che poteva ordinare a piacere suo una punizione proporzionata alla colpa di Graziosa; egli l'abbandonava alla sua crudele vendetta. Allora lei apparve soddisfatta e disse che l'avrebbe mandata a chiamare.
    Così, vennero a riferire alla Principessa che Brontolona la desiderava; lei impallidì e cominciò a tremare, sentendo che non era certo per farle dei complimenti; si guardò attorno per vedere se Persinetto appariva, ma non lo vide e, sconsolata, s'avviò verso le stanze della Duchessa. Appena vi fu entrata, le sue porte furono chiuse e quattro donne, che assomigliavano a quattro streghe si gettarono su di lei per ordine della loro padrona, le strapparono via i begli abiti e perfino la camicia. Quando le sue spalle furono messe a nudo, quelle crudeli megere, non potendo sostenere lo splendore della loro bianchezza, distolsero lo sguardo come chi guarda troppo a lungo la neve.
    -Avanti, coraggio!- urlava la crudele Brontolona dal fondo del suo letto -scorticatela finché non le rimanga più nemmeno un pezzettino di quella pelle bianca di cui si vanta tanto!
    In un'altra situazione Graziosa avrebbe desiderato la presenza di Persinetto, ma vedendosi quasi nuda, ella era troppo pudica per volere che il bel principe potesse guardarla, e già si rassegnava a sopportare ogni supplizio come un timido agnellino. Le quattro streghe tenevano in mano ciascuna un fascio di verghe spaventose e, come se non bastasse, avevano delle grosse scope per poterne prendere delle nuove, e così la battevano di santa ragione mentre a ogni frustata, Brontolona diceva:
    -Più forte! Più forte! Senza pietà!
    Dopo di ciò, nessuno crederebbe che la Principessa non fosse tutta scorticata fino alla punta dei piedi, ma talvolta ci si può sbagliare: il gentile Persinetto aveva stregato la vista di quelle donne; esse pensavano di avere in mano delle verghe, e invece erano piume di mille colori. Graziosa, che se n'era accorta fin dal principio, smise di tremare e bisbigliò: -Ah, Persinetto! Siete venuto con molto buon cuore in mio aiuto! Che avrei fatto senza di voi?- Le donne che la picchiavano si stancarono tanto che alla fine avevano le braccia indolenzite. Le gettarono addosso alla meno peggio i suoi abiti e la misero alla porta coprendola di insulti.
    Graziosa tornò in camera sua, fingendo di soffrire molto; si coricò e disse che voleva accanto a sé solo la nutrice, alla quale riferì tutta la sua avventura; a forza di parlare di addormentò, la nutrice uscì e, al suo risveglio, ella vide in un angolo il paggio verde che, per rispetto, non osava farsi più vicino.
    Ella disse che non avrebbe mai dimenticato ciò che lui aveva fatto per lei, lo pregò di non lasciarla alla collera della sua matrigna, ma gli chiese d'andarsene perché gli avevano sempre detto che non era una bella cosa per una fanciulla di rimanere tutta sola in compagnia d'un giovanotto. Egli le fece notare con quale rispetto la trattava ma soggiunse che era giusto, essendo lei la padrona, che lei gli ubbidisse in tutto e per tutto e anche in quelle che gli facevano dispiacere. Nel dire questo se ne andò, dopo averle consigliato di fingersi malata per i maltrattamenti subiti.
    Brontolona fu così soddisfatta di sapere Graziosa in quello stato, che si rimise molto più velocemente di quanto avrebbe dovuto e le sue nozze furono celebrate con grande fasto. Ma poiché il Re sapeva che, soprattutto, piaceva a Brontolona di essere lodata per la sua bellezza, egli le fece fare un ritratto e ordinò un torneo, nel quale sei, fra i più prodi cavalieri del reame, dovevano sostenere contro tutti che la regina Brontolona era la più bella principessa del mondo. Si presentarono molti cavalieri e molti stranieri a sostenere il contrario.
    Quella orribile scimmia era sempre presente, affacciata a un grande balcone, coperto di broccato d'oro e aveva la soddisfazione di vedere come la bravura dei suoi cavalieri le facesse vincere la sua causa assurda. Graziosa stava proprio dietro di lei e attirava su di sé mille sguardi, ma Brontolona, folle e vanitosa com'era, pensava che tutti gli occhi si puntassero su di lei.
    Non c'era quasi più nessuno che osasse mettere in discussione lo splendore di Brontolona, quando si presentò un giovane cavaliere che portava un ritratto dentro uno scrigno di diamanti. Dichiarò di essere pronto a sostenere che Brontolona era la più ripugnante di tutte le donne, mentre colei che era dipinta in quello scrigno era la più affascinante di tutte le fanciulle. Ciò detto, si scaglia contro i sei prodi cavalieri e li disarciona; se ne presentano altri sei, ed altri ancora, fino a ventiquattro, e lui di tutti ha ragione. Allora apre lo scrigno e dice loro che, per consolarli, mostrerà loro quel bel ritratto: esso era quello della principessa Graziosa, tutti lo riconobbero; quanto al nostro giovane cavaliere, le fece un profondo inchino e si ritirò conservando l'anonimato, ma lei fu sicura che egli era il principe Persinetto.
    Brontolona mancò poco non schiattasse di rabbia; il collo le si gonfiò e non poteva proferir parola, ma dai suoi gesti si capì perfettamente come odiasse la figliastra; quando finalmente riuscì a parlare, cominciò a sbraitare come un'ossessa: -Come! Osate contendermi il premio della bellezza! No, questo non lo perdonerò mai: o la vendetta o la morte!
    -Signora- le disse la Principessa -vi assicuro che io non c'entro affatto in tutto quel ch'è accaduto; se volete, sono pronta a firmare col mio sangue che voi siete la più bella donna dell'universo e io sono un mostro di bruttezza!
    -Ah, voi volete burlarvi di me, carina mia!- le rispose Brontolona -Ma tra poco ne dovrete sentire delle belle!
    Furono riferite al Re le ire di sua moglie, e gli fu detto che la Principessa stava tremando di paura e lo pregava di aver pietà di lei, perché, se lui l'abbandonava alla Regina, chissà che cosa le sarebbe accaduto; ma il Re non si diede pena alcuna e si limitò a rispondere: -Ho affidato mia figlia alla matrigna e questa può rispondere liberamente di lei!
    La spietata Brontolona aspettava la notte con impazienza; quando finalmente calarono le tenebre, ella fece attaccare i cavalli alla sua carrozza; Graziosa fu costretta a salirvi e, scortata da numerose guardie, fu portata a cento leghe da lì, in una grande foresta, dove nessuno osava penetrare perché piena di belve feroci. Quando furono penetrati proprio nel mezzo di quell'orrida foresta, gli uomini della scorta fecero scendere Graziosa e la abbandonarono lì. Ella aveva un bel pregare che avessero compassione di lei: -Non vi domando la vita- diceva -ma vi chiedo solo d'uccidermi subito, per risparmiarmi dei mali anche più atroci!...- Ma non servì a niente, era come parlare al vento; quegli uomini non si degnarono di risponderle e, allontanandosi da lei a tutta velocità, lasciarono in quel luogo la bella e sventurata fanciulla. Per qualche tempo, ella camminò senza meta, ora urtando contro un albero, ora cadendo, ora impigliandosi fra i rovi; infine, prostrata dalla disperazione, si gettò a terra senza aver la forza di rialzarsi.
    -Persinetto!- esclamava di tanto in tanto -Persinetto, dove siete? E' mai possibile che mi abbiate abbandonata?
    Mentre diceva così, ella vide improvvisamente la cosa più bella e sorprendente del mondo: un'illuminazione tanto potente che non c'era albero in tutta la foresta ove non risplendessero parecchi lampadari piene di candele accese; e in fondo a un viale, scorse un palazzo tutto di cristallo che brillava più del sole! Cominciò a pensare che vi fosse lo zampino di Persinetto in quella straordinaria magia e si sentì invadere da una gioia velata di apprensione: «Son sola- si diceva -quel principe è giovane, cortese, innamorato, io gli sono debitrice della vita! Ah! Questo è troppo! Fuggiamo da lui: è meglio morire che amarlo!». E nel dir così, si alzò, nonostante si sentisse svenire per la stanchezza e la debolezza; e, senza più volgere gli occhi al bel palazzo, si diresse altrove, tanto sconvolta e confusa per i contrastanti pensieri che l'agitavano, da non saper più quello che faceva.
    Ma in quel momento, udì un rumore dietro di sé; tremò di paura, credendo che si trattasse di qualche tigre accorsa per sbranarla, ella si volse a guardare e vide il principe Persinetto, più bello di quel che, di solito, si immagini il dio Amore.
    -Voi mi fuggite- le disse -o Principessa; perché mi temete, mentre io vi amo? E' mai possibile che non conosciate il rispetto di cui sono pieno, fino al punto di credermi capace di mancarne nei vostri confronti? Entrate, entrate senza paura nel mio castello incantato, se me lo ordinate io non vi entrerò: vi troverete la Regina mia madre, e le mie sorelle, che già vi adorano per ciò che ho raccontato loro di voi.
    Graziosa, incantata dal modo rispettoso e cortese nel quale il suo giovane innamorata le parlava, non poté rifiutare di salire con lui in una piccola slitta dipinta e dorata, che due cervi tiravano con sorprendente velocità, cosicché in breve tempo, ella fu condotta in mille luoghi di quella foresta che le sembrarono uno più bello dell'altro. Tutto era illuminato a giorno: c'erano pastori e pastorelle graziosamente vestiti, che ballavano al suono di flauti e cornamuse.
    Altrove, seduti sulle sponde di qualche laghetto, vide dei contadini, in compagnia delle loro belle, che mangiavano e cantavano allegramente.
    -Io credevo- disse a Persinetto -che questa foresta fosse deserta, e invece mi sembra abitata da gente felice!
    -Da quando ci siete voi, o mia Principessa- lui le rispose -in questa oscura solitudine non c'è più che gioia e piacevoli divertimenti: gli Amorini vi seguono ovunque e i fiori sbocciano sotto i vostri piedi!
    Graziosa non osò rispondere; non voleva sostenere conversazioni del genere e supplicò il Principe di condurla presso la Regina sua madre.
    Subito egli comandò ai suoi servi di recarsi al palazzo incantato. Nel giungere, ella udì una musica dolcissima e la Regina con le due figliole, che erano deliziose, le vennero incontro, l'abbracciarono e la condussero in una grande sala le cui pareti erano di cristallo di rocca. Graziosa notò con grande stupore che su quei cristalli era scolpita tutta la sua storia fino a quel giorno, compresa la corsa sulla slitta che poco prima ella aveva fatto con il Principe; quell'opera era così perfetta e rifinita che neppure Fidia e tutti gli altri grandi scultori di cui si vanta la Grecia, avrebbero potuto eguagliarla.
    -Avete degli artisti espertissimi- disse Graziosa a Persinetto: -non può accadermi qualcosa senza vederla subito incisa!
    -E' che voglio saper tutto di quanto vi riguarda, Principessa!- lui rispose -ahimè! in nessun altro luogo posso sentirmi così felice e beato.
    Lei non rispose nulla, ma ringraziò la Regina della gentilezza con cui l'aveva accolta. Fu poi servito un grande banchetto, e Graziosa mangiò con appetito, perché era tutta felice di aver trovato nella foresta Persinetto, invece degli orsi e dei leoni che la spaventavano tanto. Nonostante fosse molto stanca, lui la pregò di entrare in un altro salone, tutto splendente d'oro e di pitture, dove fu rappresentata un'opera; essa aveva per argomento gli amori di Cupido e Psiche, ed era inframmezzata di danze e canti. Un pastorello si fece avanti e cantò la seguente canzoncina:

    Siete amata, Graziosa. Lo stesso dio d'amore
    Non potrà meglio amarvi del vostro adoratore.
    Fate almen d'imitare le tigri e le altre fiere
    Che ai più piccoli inviti si lascian persuadere.
    Dei più fieri animali il selvatico umore
    S'arrende alle delizie a cui l'invita amore.
    Chi non parla d'amore? Chi al suo incantesimo non cede?
    Voi sola vi negate, Graziosa senza fede.



    Ella si vergognò davanti alla Regina e alle Principesse, e disse a Persinetto che le dispiaceva un pochino che a tanta gente fosse stato rivelato il loro segreto. -A questo punto- soggiunse -ricordo una strofetta che mi è sempre piaciuta:

    Mantenete il dolcissimo segreto:
    A me piace il silenzio sopra tutto.
    Nei più ingenui piaceri un indiscreto
    Sa cercare e trovare il male e il brutto.



    Egli si scusò per aver fatto una cosa contraria ai suoi desideri. L'opera terminò, e la Regina fece accompagnare Graziosa nei suoi appartamenti dalle due Principesse. E' impensabile qualcosa di più sfarzoso ed elegante del letto e della stanza dove ella doveva dormire: fu servita da ventiquattro fanciulle vestite da ninfe, la più vecchia delle quali non aveva vent'anni, e ognuno sembrava un miracolo di grazia.
    Quando l'ebbero messa a letto, si cominciò a sentire una dolcissima ninnananna suonata per conciliare il sonno, ma lei era così piena di stupore che non riusciva a chiudere occhio: «Non ho fatto che vedere un incantesimo dopo l'altro- si diceva. -Un principe così bello e potente può essere molto pericoloso! Non sarà mai troppo presto per fuggire da questi luoghi».
    Ma il pensiero di doversene andare le straziava il cuore: lasciare un castello così splendido per ricadere fra gli artigli della perfida Brontolona... C'era troppa differenza tra l'una e l'altra cosa e chiunque avrebbe esitato. D'altra parte, Persinetto le sembrava così leggiadro che lei non voleva restare in una casa di ci lui era il padrone.
    Quando ella si alzò, le presentarono abiti di tutti i colori, gioielli di pietre preziose di ogni specie, pizzi, nastri, e calze di seta, tutto era d'un gusto raffinato e nulla mancava. Le fecero indossare un vestito d'oro cesellato: mai Graziosa era stata così elegante ed era sembrata tanto affascinante. Persinetto entrò nella sua camera, vestito d'una stoffa verde e oro (il verde era il suo colore, perché piaceva a Graziosa). Nulla di ciò che si loda per raffinatezza e beltà si può paragonare al nostro giovane Principe. Graziosa gli disse che non aveva potuto chiudere occhio: il ricordo delle proprie sventure la opprimeva, e lei non poteva fare a meno di temerne le conseguenze.
    -Perché preoccuparvi tanto, Principessa?- le disse lui. -Voi qui siete la sovrana, tutti vi vogliono bene; oppure pensate di lasciarmi per consegnarvi alla vostra più crudele nemica?
    -Se fossi padrona del mio destino- gli rispose Graziosa -accetterei ciò che mi offrite; ma sono tenuta a render conto di ciò che faccio al re mio padre; preferisco soffrire che venir meno ai miei impegni.
    Persinetto le disse tutto quello che poteva immaginare per convincerla a sposarlo, ma lei non volle acconsentire al suo desiderio e fu quasi contro la sua volontà che egli la trattenne per otto giorni ancora, durante i quali escogitò tutti gli svaghi possibili per farla felice.
    Graziosa diceva spesso al Principe: -Vorrei tanto sapere cosa sta succedendo alla Corte della regina Brontolona, e quali spiegazioni ha dato alla sua malvagità-. Persinetto le disse che avrebbe mandato a informarsi il suo scudiero, un uomo saggio e coraggioso. Lei rispose di esser sicura che egli non aveva bisogno di nessuno per conoscere tutto ciò che accadeva, e che poteva quindi dirglielo senz'altro.
    -Allora salite con me- le disse il Principe -sulla grande torre e lo vedrete voi stessa.
    Così dicendo, la condusse in cima a una torre di altezza sorprendente, anch'essa tutta di cristallo di rocca come il resto del palazzo. Poi le disse di mettere il piedino su quello di lui, il dito mignolo in bocca, e di guardare dalla parte della città.
    Immediatamente Graziosa scorse che la crudele Brontolona era col Re e gli diceva: -Quella disgraziata principessa si è impiccata nella cantina; l'ho vista proprio ora, bisogna farla seppellire subito e consolarvi di una perdita di così scarsa importanza.
    Il Re si disperò per la morte della figlia; ma Brontolona, voltandogli le spalle, andò a chiudersi in camera sua, poi fece prendere un pezzo di legno sul quale fu messo un cappellino, poi, avvolto per bene, lo chiusero in una bara e quindi, per ordine del Re, gli fecero un solenne funerale, al quale tutti assistettero piangendo e maledicendo la matrigna che si riteneva responsabile della morte di Graziosa. Ognuno portò il lutto, e Graziosa sentiva ciò che si diceva sulla sua scomparsa, e come si andasse sussurrando:
    -Che peccato che quella principessa giovane e bella sia morta per la crudeltà di una così perfida creatura! Bisognerebbe tritarla, farla a pezzettini!- Quanto al Re, sembrava voleva lasciarsi morire d'inedia e piangeva a dirotto.
    Graziosa, vedendo suo padre così addolorato: -Ah! Persinetto- disse -non posso più sopportare che mio padre mi creda morta! Se mi amate, conducetemi da lui!
    Egli tentò di dissuaderla, ma alla fine le dovette ubbidire, sebbene di malavoglia. -Principessa- le diceva -dovrete rimpiangere più d'una volta il mio castello incantato; quanto a me, non oso credere che mi rimpiangerete: voi siete verso di me più crudele di quanto Brontolona non lo sia verso di voi!
    Ma le sue parole furono vane: Graziosa si ostinò a voler partire; salutò la madre e le due sorelle del Principe, montò con lui sulla slitta e i cervi si misero a correre; mentre usciva dal palazzo, ella sentì un gran fracasso, si volse indietro a guardare: tutto il palazzo stava crollando!
    -Che cosa vedo?- ella esclamò -il palazzo è sparito!
    -No- le rispose Persinetto -il mio palazzo è andato fra i morti e voi non vi entrerete che quando vi avranno sepolta.
    -Siete adirato con me?- gli disse Graziosa, cercando di rabbonirlo -ma ditemi: non vi sembra che io sia più da compatire di voi?
    Quando arrivarono, Persinetto fece in modo che la Principessa, lui stesso e la slitta fossero invisibili. Graziosa salì nella camera del Re e corse a gettarsi ai suoi piedi. Quando costui la vide ebbe paura e voleva fuggire, pensandola un fantasma; lei lo trattenne, gli disse che era viva: Brontolona l'aveva fatta portare in una foresta selvaggia ed ella era salita in cima a un albero, dove aveva vissuto nutrendosi di frutta; al suo posto avevano seppellito un pezzo di legno; gli chiedeva per favore di mandarla in uno dei suoi castelli, dove non fosse più esposta alle cattiverie della matrigna.
    Il Re, ancora titubante, mandò a disseppellire il pezzo di legno e la malvagità di Brontolona gli risultò evidente. Chiunque altro, al posto suo, l'avrebbe punita, ma egli era un poveruomo molto debole, e non aveva il coraggio di imporsi: fece un mucchio di complimenti a sua figlia e la invitò a cena con lui. Quando i servitori di Brontolona andarono a riferirle che Graziosa era tornata ed era a tavola col Re, ella montò su tutte le furie e, corsa da lui, gli disse che non c'era via d'uscita: se non le lasciava quell'intrigante, lei se ne sarebbe andata immediatamente per non tornare mai più; era una pura ipotesi che quella fosse Graziosa: a dire il vero le assomigliava un poco, ma Graziosa si era impiccata, l'aveva vista lei stessa, e prestar fede alle falsità di costei, voleva dire mancare di considerazione e di fiducia nei suoi confronti. Il Re, senza proferire parola, le affidò la povera Principessa, credendo o fingendo di credere che non fosse sua figlia.
    Brontolona, tutta soddisfatta, la trascinò, con l'aiuto delle sue ancelle, in un'orribile prigione, ove la fece spogliare: le tolsero i suoi ricchi abiti e la rivestirono con uno straccio di grossa tela, le fecero calzare un paio di zoccoli e in testa un cappuccio di ruvida lana. Le diedero appena un po' di paglia per coricarsi e pane nero per cibarsi.
    In tale situazione, Graziosa cominciò a versare amare lacrime e a rimpiangere il castello incantato; ma non osava chiamare Persinetto in aiuto, pensando di averlo trattato troppo male e non osando sperare che egli le volesse abbastanza bene per volere ancora soccorrerla. Intanto, la perfida Brontolona aveva fatto chiamare una fata che non era meno malvagia di lei.
    -Ho qui- le disse -una piccola imbrogliona di cui ho motivo di lamentarmi; voglio punirla ed affidarle dei compiti difficili che non le sia possibile adempiere, affinché io possa batterla di santa ragione, senza che ella abbia il diritto di lamentarsene; aiutatemi a trovare ogni giorno nuovi lavori per lei.
    La Fata rispose che vi avrebbe pensato su e sarebbe tornata il giorno dopo. Quando tornò, aveva con sé una matassa grossa come quattro uomini messi insieme, di filo così sottile che bastava sfiorarlo perché si spezzasse, e così imbrogliato che non si capiva dove era il principio e dove la fine. Brontolona, sghignazzando, mandò a chiamare la bella prigioniera e le disse:
    -Ecco qui, bellezza mia, preparate le vostre dita a sbrogliare per bene questa matassa, e state pur certa che se ne spezzerete anche soltanto un filo, sarete bell'e spacciata, perché vi scorticherò viva io stessa; iniziate pure quando vi pare, ma voglio che sia tutta dipanata prima di sera-, poi la chiuse in una camera con una porta a tre serrature.
    Non appena la Principessa fu sola, osservò quella matassa, la girò e la rigirò, spezzando mille fili per sbrogliarne uno e rimase così abbattuta che non tentò più neppure di dipanarla; anzi, gettandola in mezzo alla stanza: -Vattene- disse -o filo fatale, tu sarai causa della mia morte; ah! Persinetto, Persinetto, se la mia crudeltà non vi ha troppo offeso, non vi chiedo di correre in mio aiuto, ma almeno di riceve il mio ultimo addio!- E si mise a piangere così amaramente che anche il cuore meno tenero di un innamorato ne sarebbe stato infranto.
    Allora Persinetto aprì la porta con la stessa facilità che se ne avesse avuto le chiavi in mano: -Eccomi qui, Principessa- le disse -sempre pronto a servirvi; non son capace di lasciarvi anche se voi ricambiate così poco il mio amore-, batté con la sua bacchetta tre colpi sulla matassa e subito il fili si riallacciarono insieme. Con due altri colpi tutto fu sbrogliato rapidamente.
    Il Principe le chiese se desiderasse ancora qualcosa da lui e se avrebbe continuato a chiamarlo solamente nel momento del bisogno.
    -Non sgridatemi, Persinetto- disse lei, sono già abbastanza infelice.
    -Ma Principessa- egli rispose -non dipende che da voi che liberarvi dalla crudeltà di cui siete vittima: scappate con me, rendiamoci felici tutti e due. Che cosa temete?
    -Ho paura che non mi vogliate bene abbastanza- lei rispose -voglio che il tempo mi confermi il vostro amore.
    Persinetto, offeso dalla sua incertezza, la salutò e se ne andò.
    Era quasi sera e Brontolona aspettava con impazienza; alla fine non resistette più e si mosse insieme a quelle quattro streghe che la seguivano ovunque; mise le tre chiavi nelle tre serrature e, mentre apriva la porta, diceva: -Scommetto che quella pigrona non avrà mosso neppure un dito: avrà preferito riposarsi per conservarsi fresco il colorito!
    Quando fu entrata, Graziosa le presentò la matassa bell'e dipanata; Brontolona non poteva dir altro che l'aveva sporcato e che era una sudiciona; con questa scusa le diede due schiaffi per i quali le sue gote bianche e rosa divennero livide e gialle. La povera Graziosa sopportò pazientemente l'offesa, non potendo difendersi; la riportarono nella sua cella, dove fu nuovamente messa sotto chiave.
    Brontolona, infuriata perché la matassa di filo era stata un buco nell'acqua, mandò a chiamare la Fata e la coprì di insulti. -Scovatemi- le disse -qualcosa di più difficile, che lei non riesca a fare.- La Fata se ne andò e l'indomani fece portare una botte enorme piena di piume d'ogni specie d'uccelli: usignoli, canarini, lucherini, cardellini, fanelli, capinere, pappagalli, gufi, passerotti, colombe, struzzi, ottarde, pavoni, allodole, pernici, insomma a volerli elencare tutti non si finirebbe mai. Queste piume erano state mescolate tutte insieme in modo che gli stessi uccelli non avrebbero potuto riconoscerle. -Ecco qui- disse la Fata rivolgendosi a Brontolona -di che mettere alla prova la capacità e la pazienza della vostra prigioniera: comandatele di separare queste piume, da una parte quelle degli usignoli, dall'altra quelle di pavone, e così via; dovrà fare un mucchietto di ciascuna specie. Nemmeno una Fata ci riuscirebbe!
    Brontolona gongolò, immaginandosi la costernazione della povera Principessa; la mandò a chiamare, la minacciò come al solito, e la rinchiuse con la botte nella stanza dalle tre serrature, dicendole che tutto il lavoro doveva essere finito prima di sera.
    Graziosa prese alcune piume, ma essendole impossibile riconoscere la differenza fra le une e le altre le gettò nel barile. Le prese di nuovo, tentò più volte, ma vedendo che era una cosa impossibile: -Muoriamo- con tono rassegnato -vogliono che muoia, e la morte metterà fine alle mie sventure! Non vale la pena di chiamare Persinetto in mio aiuto: se mi amasse sarebbe già venuto!
    -Sono qui, Principessa- egli disse uscendo dal fondo della botte dove si era nascosto -sono qui per risolvere il vostro problema. Dopo tante prove del mio affetto, dubitate ancora che vi amo più della vita?
    Immediatamente batté sulla botte tre colpi di bacchetta, e le piume, uscendo fuori a migliaia, si divisero da sole in tanti mucchietti tutt'intorno alla stanza.
    -Come posso ripagarvi, mio Signora?- gli disse Graziosa -senza di voi sarei morta; contate sulla mia riconoscenza.
    Il Principe non tralasciò nessun mezzo per cercare di convincerla a prendere una decisione in suo favore, ma lei gli chiese del tempo e lui, pur con il cuore spezzato, fu costretto ad accordarglielo.
    Venne Brontolona; fu così meravigliata di quel che vedeva che non sapeva più che cosa escogitare per rimbrottare Graziosa; naturalmente la picchiò con la scusa che le piume non erano state divise bene. Poi chiamò la Fata e non vi dico che scenata le fece; la Fata non sapeva cosa risponderle ed era molto mortificata. Alla fine, le disse che avrebbe fatto ricorso a tutte le sue capacità per costruire una scatola destinata a mettere la giovane prigioniera in indicibili difficoltà, nel caso in cui le fosse venuto in mente di aprirla. Infatti, qualche giorno dopo, arrivò con una grossa scatola: -Ecco- disse a Brontolona -dite alla vostra prigioniera di portare quest'oggetto in un posto qualsiasi, ma proibitele di aprirlo, lei non ne potrà fare a meno e allora voi ne sarete soddisfatta!
    Brontolona fece puntualmente ciò che le aveva consigliato la Fata: -Portate questa scatola- disse a Graziosa -al mio ricco castello, e posatela sul tavolo del mio salottino, ma vi proibisco, pena la morte di spiarne il contenuto.
    Graziosa si incamminò, coi suoi zoccoli, il suo povero vestito di cotone e il cappuccio di lana; la gente che la incontrava pensava: -Deve essere una dea travestita- perché nonostante tutto ella era sempre d'una bellezza senza paragone. Si stancò molto a camminare, e attraversando un boschetto che confinava con una verde radura, si sedette per riposare un po'. Aveva la scatola in grembo e, tutt'a un tratto, desiderò ardentemente di aprirla. «Che può accadermi?- si chiedeva -non ruberò nulla, ma almeno vedrò cosa c'è dentro!» Non pensando alle conseguenze della sua curiosità l'aprì: ne uscirono fuori tanti omettini e donnettine, violinisti coi loro strumenti, tavole minuscole, minuscoli cuochi, piccolissimi piatti, insomma: il più alto della compagnia non era più alto di un dito!
    Saltarono tutti sull'erba, si divisero in più gruppi e cominciarono la danza più graziosa che si sia mai vista; alcuni ballavano, altri cucinavano, altri ancora mangiavano; i violini suonavano che era un piacere. Graziosa, lì per lì, si meravigliò nell'assistere ad un fatto così strepitoso; ma quando si fu un po' riposata e cercò di farli rientrare nella scatola non ce ne fu uno che le ubbidì: tutti quei piccoli gentiluomini e quelle damine fuggivano veloci, e i violinisti lo stesso come pure i minuscoli cuochi con i testa le loro pignattine e gli spiedini in spalla. Si nascondevano nel bosco, quando Graziosa li rincorreva per il prato e passavano nel prato quando lei li cercava nel bosco.
    -Curiosità troppo indiscreta- si diceva disperandosi Graziosa -quale favore stai rendendo alla mia nemica! La sola sciagura che potevo evitare mi accade per colpa mia! Persinetto- continuò -Persinetto, se è possibile che vogliate ancora bene a una principessa così avventata, venite in mio aiuto nel più difficile frangente della mia vita!- Persinetto non si fece attendere: le fu subito vicino, nel suo ricco abito verde.
    -Senza la perfida Brontolona- disse -bella Principessa, non vi ricordereste mai di me!
    -Ah!- lei rispose -siate più giusto con i miei sentimenti: io non sono insensibile alle vostre virtù, né ingrata per tutti i vostri meriti; è vero che metto alla prova la vostra pazienza, ma è per poterla premiare quando ne sarò convinta.
    Persinetto, più contento di quanto non fosse mai stato, diede tre colpi di bacchetta sulla scatola, e subito gli ometti, le donnine, i violinisti, i cuochi e le vivande, tutto vi rientrò nell'ordine più perfetto, come se nessuno si fosse mai mosso. Il Principe, aveva lasciato nel bosco la sua carrozza, pregò la Principessa di servirsene per giungere al castello di Brontolona; così stanca com'era doveva averne davvero bisogno; così, resala invisibile, l'accompagnò lui stesso ed ebbe il piacere di stare un po' con lei, piacere al quale, come raccontano, la nostra Graziosa non era insensibile in fondo al cuore, anche se celava accuratamente i propri sentimenti.
    Graziosa arrivò al famoso castello, e quando chiese a un servitore, da parte di Brontolona, di aprirle il salottino, costui scoppiò a ridere: -Oh, quest'è bella!- le disse -sei appena uscita dalla stalla e ti credi di poter entrare in un luogo così bello? Va', vattene dove vuoi, gli zoccoli non hanno mai calpestato questi tappeti!
    Graziosa allora lo pregò di metterlo per iscritto che non l'aveva lasciata entrare, e lui lo fece; uscendo dal castello, ella trovò Persinetto che l'aspettava e la riaccompagnò al castello di suo padre. Sarebbe difficile raccontare tutte le cose tenere e rispettose che egli le disse durante il viaggio, per convincerla a por fine alle sue disgrazie. Graziosa le rispose che se Brontolona le avesse giocato un altro brutto tiro ella avrebbe acconsentito.
    Quando la matrigna la vide tornare, si infuriò con la Fata che era ancora lì; la graffiò e l'avrebbe strangolata, se una Fata potesse essere strozzata. Graziosa le pose il biglietto del suo servitore e la scatola, ma lei gettò l'una e l'altra nel camino, senza neppure aprirli e, se avesse ascoltato la sua impazienza, vi avrebbe anche gettato la Principessa, pensava però di non rimandare di molto il supplizio che le aveva destinato.
    Fece scavare una buca nel giardino, profonda come un pozzo e la fece coprire con un'enorme pietra, poi andò a passeggiare da quella parte e disse a Graziosa e a tutto il suo seguito: -Mi hanno riferito che sotto a questa pietra si nasconde un tesoro: suvvia, alzatela!- Tutti si misero all'opera e anche Graziosa li aiutò: era proprio ciò che voleva Brontolona; appena la Principessa fu sull'orlo della buca la matrigna la spinse bruscamente nel pozzo e la pietra che lo chiudeva fu rimessa a posto.
    Questa volta non c'era più speranza: come avrebbe fatto Persinetto a trovarla lì sotto? Lei si rese conto di come la cosa fosse impossibile e si pentì di aver aspettato tanto tempo a sposarlo. -Com'è terribile la mia sorte- gemeva -adesso mi hanno sepolta viva, e questo genere di morte è più orribile di ogni altro. Persinetto, siete stato vendicato della mia titubanza, ma credevo che voi foste volubile come tutti gli altri uomini, e volevo esser ben certa del vostro amore; la mia sciocca diffidenza mi ha portato allo stato in cui mi trovo; se almeno- continuò -potessi sperare che rimpiangerete la mia scomparsa, credo che la morte mi farebbe soffrire meno!
    Parlava così per alleviare un poco la sua pena, quando sentì aprirsi una porticina che, dato il buio, non aveva notato, e contemporaneamente vide la luce del giorno e un giardino fiorito con frutti, fontane, grotte, statue, pergolati e chioschetti. Non dubitò un istante a entrarvi: prese un gran viale, chiedendosi in cuor suo quale esito avrebbe avuto quella storia, quando il castello incantato apparve ai suoi occhi! Le fu facile riconoscerlo, anche perché non se ne trovavano troppi, costruiti interamente di cristallo di rocca: vi scorse perfino incise le sue vicende più recenti. Poco dopo apparve Persinetto con la madre e le sorelle. La Regina disse a Graziosa:
    -E' tempo che rendiate mio figlio felice, non tentate ancora di sfuggire al vostro destino; è anche tempo di sottrarvi allo stato miserando in cui vivete sotto la tirannia di Brontolona!
    La Principessa, piena di gratitudine, si gettò ai suoi piedi, dicendole che poteva liberamente disporre della sua sorte e che l'avrebbe ubbidita in ogni cosa; ella non aveva dimenticato le parole di Persinetto, quando erano usciti dal castello incantato e lui le aveva detto che il palazzo era andato fra i morti e lei non vi sarebbe entrata, che dopo essere messa sottoterra; era fiera di tutta la sua sapienza e accettava quindi di sposarlo.
    Questo volta toccò al Principe a gettarsi ai suoi piedi; al tempo stesso tutto il grande castello risuonò di voci e di strumenti e le nozze furono celebrate con grande pompa.
    Da mille leghe intorno arrivarono tutte le Fate: alcune in cocchi tirati da cigni, altre da draghi, portate dalle nuvole, o anche in sfere di fuoco. Venne perfino quella che aveva aiutato Brontolona a tormentare Graziosa; quando la riconobbe, per lo stupore rimase a bocca aperta e la implorò di voler perdonare quello che era accaduto, dicendole che avrebbe tentato in ogni modo di riparare a tutti i torti che le aveva fatto patire. Sta di fatto che non osò prender parte al banchetto e, risalita sul suo calesse tirata da due orribili serpenti, volò al palazzo del padre di Graziosa, vi cercò Brontolona e la strangolò senza che le sue guardie e le sue ancelle potessero impedirglielo.


    MORALE
    Sei tu, funesta invidia,
    Che gli uomini tormenti
    E tendi qualche insidia
    Perfino ai più innocenti.
    Sei tu che a Graziosa
    Hai dato a lungo vita dolorosa.
    Quale sarebbe stata la sua sorte,
    Se il suo fedele non l'avesse spesso
    Scampata dalla morte?
    Egli ebbe affine il gran premio promesso:
    Chi serve con costanze e fedeltà
    O presto o tardi ha la felicità.



    Edited by MißHookSeleneZuko - 23/2/2018, 11:09
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